All’insonne Alessandro VII dava fastidio il ticchettio…
A Milano, Museo Poldi Pezzoli, “La forma del Tempo”, a cura di Lavinia Galli. I primi orologi meccanici datano alla fine del XIII secolo; l’Astrario, l’orologio astronomico inventato da Giovanni Dondi; gli «svegliatori» barocchi dei fratelli Campani… Quadranti dipinti da Maratti, Trevisani… E un capolavoro «notturno a proiezione»
Nel complesso passaggio tra medioevo ed età moderna l’ampliamento delle discipline matematiche avvenne attraverso la riscoperta dei testi classici. Cambiarono anche l’astrologia, la geometria, e ci si spinse verso un’analisi sempre più approfondita dello spazio e del tempo che mise in crisi i vecchi sistemi arrivando gradualmente, e non senza traumi, al metodo sperimentale. Tra le novità tecnologiche che accelerarono questo cammino verso la modernità si pensa comunemente al perfezionamento del cannocchiale, un mezzo che ampliava lo sguardo fuori dall’atmosfera terrestre, svelando di conseguenza molto sul nostro pianeta e il suo posto nel creato.
L’orologio meccanico fu invece inventato alla fine del XIII secolo in ambito monastico: non serviva a sincronizzare la vita sociale ma a sancire i ritmi quotidiani della preghiera. Si sono conservati pochissimi esemplari di questi primi svegliatori meccanici; uno di essi, forse l’unico esistente databile alla metà del XV secolo, apre ora la mostra La forma del Tempo (a cura di Lavinia Galli, al museo Poldi Pezzoli di Milano fino al 27 settembre, catalogo Skira). Tra i documenti che provano la diffusione di questo tipo di congegni ci sono quelli figurativi: nelle rappresentazioni e nelle allegorie del tempo lo svegliatore rimpiazza l’obsoleta clessidra. È per esempio riprodotto nelle tarsie dello Studiolo di Federico da Montefeltro a Urbino, nel Sant’Agostino di Botticelli in Ognissanti a Firenze e nel Trionfo del Tempo di Jacopo del Sellaio (dal Museo Bardini), ora in mostra, dove la meccanica dello svegliatore si mescola alla messa in scena di una citazione dei Trionfi di Petrarca, con il Sole sul suo carro che compie sempre lo stesso tragitto «dì e notte rotando / per la strada rotonda che è infinita».
Il nome di Petrarca emerge anche in un altro dei molti nessi che si scoprono tra gli oggetti esposti. È Giovanni Dondi, medico, corrispondente e amico del poeta, l’inventore dell’impressionante Astrario, il complicatissimo orologio astronomico che rileva il tempo attraverso i moti dei pianeti. La ricostruzione moderna esposta – l’originale è purtroppo perduto – è stata possibile proprio grazie ai manoscritti autografi e ai disegni di Dondi ancora conservati. Questa macchina impressionante testimonia di come le scienze fossero intrecciate: la medicina dipendeva strettamente dall’astrologia e quindi dall’astronomia, dall’aritmetica, dalla geometria e dalle loro applicazioni meccaniche. La definizione accurata dei moti celesti era infatti utile a determinare l’influsso astrale nello squilibrio degli umori che causa la malattia: perciò tra i medici c’erano i più grandi esperti nella realizzazione di astrolabi e sfere armillari.
Imprese come quella dell’Astrario, che sono compendio di una vita (e di un’epoca), incalzavano le conquiste tecnologiche dell’orologeria; il tempo non andava solo scandito, ma definito: in meno di due secoli si passò così dai segnatempo agli orologi pubblici su torri e campanili, sempre più precisi, a soluzioni modernissime, a orologi da tavolo che sono piccole, lussuose architetture semoventi. La spinta tecnologica, lo si capisce bene in mostra, cambia definitivamente il rapporto con il tempo.
La sezione successiva dell’esposizione gira intorno a un’altra vicenda piena di fascino, quella degli spoletini fratelli Campani, tra i massimi costruttori di orologi, telescopi e microscopi del Seicento. La loro carriera si svolse nell’intricato panorama scientifico romano e fu Matteo, il maggiore dei tre, a coltivarne l’educazione e a inserire i due fratelli minori in una rete di contatti che li portò al successo. Con la salita al soglio pontificio di Fabio Chigi come Alessandro VII, Pier Tommaso Campani divenne l’orologiaio del palazzo Apostolico. Si trovò così a corrispondere a una richiesta del neo-papa che, sofferente d’insonnia, desiderava un orologio che si potesse consultare di notte e che né avesse il ticchettio fastidioso né dovesse essere illuminato da una luce troppo molesta. Giuseppe, il più giovane dei tre Campani, trovò la soluzione. Rese fluido e silenzioso il sistema di frenaggio meccanico che interagiva con la ruota del motore causando il ticchettio. L’orologio, con il suo scappamento silenzioso, non aveva lancette: i numeri delle ore scorrevano attraverso finestrelle retroilluminate; la cassa prese la forma di un’edicola-reliquario e la decorazione dell’ampio quadrante si poté riempire di pittura. Nel bell’allestimento del Poldi il busto di Alessandro VII di Bernini veglia su una selezione di questi orologi notturni che furono presto ricercatissimi. Gli artisti che lavorarono ai quadranti – alcuni riconosciuti in questa occasione – non sono di seconda fila: Ciro Ferri, Carlo Maratti, Francesco Trevisani, ad esempio. Le loro immagini trovano senso nel rapporto con il tempo: sono allegorie, «emblemi» barocchi ridotti nello spazio particolare delle mostre di rame.
Il successo di questi concentrati di arte e meccanica fu così vasto da indurre diversi orologiai a imitarne le forme, con tutto un seguito di collaborazioni tra tecnici, artisti, ebanisti, scultori e via di seguito. Così a Genova Domenico Piola e il Baciccio si trovarono a ideare le mostre degli orologi notturni usciti dall’officina genovese di Giovanni Pietro Callin; a Firenze l’esperto di nature morte Andrea Scacciati dipinse la mostra per un monumentale segnatempo realizzato per il matrimonio di Folco Rinuccini e Maria Cassandra Gherardi, e si potrebbe continuare a lungo seguendo le sorti di questi oggetti sontuosi che furono spesso utilizzati come doni diplomatici e di nozze.
La concorrenza spietata mise gradualmente in crisi la tenuta dell’officina Campani e i rapporti personali tra i fratelli divennero insostenibili, con rotture e pubbliche accuse reciproche di plagio. Tra le ultime, curiosissime innovazioni di Giuseppe, grande produttore di cannocchiali e microscopi, ci fu l’orologio notturno a proiezione, in grado di riprodurre con una lente ingrandente il quadrante su una parete o su un soffitto. Il più raro tra questi chiude la mostra del Poldi Pezzoli: è un capolavoro barocco. L’orologio è ospitato dentro una sfera metallica che rappresenta il globo celeste secondo una mappatura del cielo aggiornata e approfondita, e questa è retta da un Saturno-Kronos in legno dorato attribuito allo svizzero Johannes-Jacobus Reyff. La tecnologia del Campani è al servizio di un manufatto spettacolare, un concentrato della cultura barocca che riassume la meraviglia delle possibilità multiple, delle contrapposizioni tra grande e piccolo, delle ore del giorno e del respiro dell’universo, dell’artificio teatrale e della precisione scientifica che convivevano in quei decenni così magnificamente pieni di contraddizioni.