Rodney Lokaj ha presentato al pubblico spoletino due novità nel campo degli studi sul Cantico, una di natura formale/strutturale, la seconda programmatica e polemica. Innanzitutto lo studioso ha preso in esame il ms. Assisiate 338 quale partenza ermeneutica più logica per una disamina del Cantico di frate Sole in quanto testimone più antico, pur con la menzione di tutta la tradizione manoscritta fra cui in primis il Vat.lat. 7650, quest’ultimo più toscaneggiante nelle scelte ortografiche, il nostro più prettamente umbro. Nella sezione che trasmette alcuni Opuscula del santo, l’Assisiate 338 presenta il Cantico nell’alveo esegetico delle Beatitudini verosimilmente ad opera dello stesso Francesco, vettore ermeneutico di primaria importanza che induce a rivedere il sintagma «Laudato si(e)» fortemente anaforizzato quale richiamo, ora piuttosto esplicito, alla fonte precipua, ovvero, alle Beatitudini appunto. Laddove nel Sermone sul monte (Mt. 5, 1-12) Gesù anaforizza l’aggettivo «Beati» otto volte per poi rivolgersi direttamente alle moltitudini con una teoria di verbi coniugati alla seconda persona plurale, analogamente Francesco usa il sintagma «Laudato si(e)» ben otto volte seguito, poi, da una serie di verbi coniugati all’imperativo alla seconda persona plurale. Ai vv. 26 e 31 ci sono perfino due espliciti richiami, quasi citazioni dirette, a quella medesima fonte: «Beati quelli ke […]». La fonte principale di Francesco non sono, dunque, i Salmi davidici, ovvero una fonte veterotestamentaria, come sostiene ancora la relativa letteratura critica, bensì la viva voce di Gesù, una fonte neotestamentaria, dunque, l’affascinante, enigmatico e profondamente poetico Sermone sul monte. Anche qui Francesco si rivela quale alter Christus, un novello Cristo che insegna con apparente semplicità sul monte, non più ovviamente sopra un monte generico in Galilea, ma sul suo monte, il Subasio, in Umbria.
La seconda novità esposta nella conferenza riguarda, invece, il programma dietro il Cantico. Se, come dichiara esplicitamente l’Assisiate 338, il Cantico fu composto «apud sanctum Damianum», presso San Damiano, luogo a più riprese eletto quale scena di tappe importanti nella formazione pregressa del santo, la genesi del Cantico medesimo non può prescindere da Chiara. Pur alludendo alla necessità di rendere vacua ed inapplicabile ogni possibile taccia di eresia di tipo manicheo, Lokaj ha concluso il suo intervento richiamandosi all’importanza rappresentata da Chiara e dalle donne in generale sottolineando come il formarsi della Regola francescana avesse progressivamente divelto queste ultime dal tronco principale del movimento, divenuto contestualmente Ordine, e come, di conseguenza, Francesco, il quale nel frattempo si era dimesso dal generalato e non solo perché deperito, malato, quasi accecato dalle cataratte e prossimo alla morte, avesse provato, invece, a dimostrare l’assoluta centralità del genere femminile nel cosmo creato dal Padre. Dettando a fra’ Leone ben quattro coppie di elementi, uno maschile, prima, e uno femminile, poi, otto elementi in tutto in perfetta alternanza – Sole-Luna, vento-aqua, focu-terra, amore-morte – Francesco dimostra come la coesione poetica del Cantico, come quella del Creato visto e vissuto d’altronde come tunica inconsutile, sia garantita da quella danza cosmica perenne fra il principio maschile e quello femminile, sempre intimamente correlati ed imparentati, co-creati appunto, «creature» entrambi, nella logica divina della Creazione.